mercoledì, 12 Marzo, 2025
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“Cattiva Memoria – Perché è difficile fare i conti con la storia”

Recensione a cura di Marilena Frilli, Cespi

Essenziale  nella sua brevità,  poco più di cento pagine,  sorprendente per la ricchezza delle  osservazioni e delle analisi racchiuse in uno spazio così breve, il libro di Marcello Flores Cattiva memoria – Perché è difficile fare i conti con la storia  edito da Il Mulino nel 202, indaga sulla difficile relazione, spesso conflittuale   a volte collaborativa,   tra  il  testimone e lo storiografo, la memoria di chi ha vissuto le vicende e i risultati della ricerca storica, l’emozione e la conoscenza,  la semplificazione  e la complessità.

Fin dall’inizio Flores mette in evidenza come negli ultimi decenni  sia stata la  memoria a prendere  il sopravvento sulla storia soprattutto per quanto riguarda  gli eventi del passato a noi più vicino e,  nel corso di tutto il libro,  asserisce la necessità di restituire alla ricerca  la sua perduta posizione di preminenza al fine di evitare la banalizzante contrapposizione tra bene e male e la semplicistica celebrazione di gruppi di  vittime poiché  le dinamiche politiche e le responsabilità che hanno reso possibili gli accadimenti sono rintracciabili solo con una analisi complessa del contesto storico.

L’età del testimone, come è stata definita dalla storica francese Annette Wieviorka, ha avuto inizio  alla fine  degli anni ’70,  grazie anche al successo della serie televisiva americana “Holocaust” dedicata alla memoria delle vittime della Shoah, per  affermarsi poi  negli anni ’90 dopo la fine della guerra fredda, delle dittature in America Latina e dell’apartheid in Sud Africa. In questi primi decenni del nuovo secolo la memoria collettiva è stata istituzionalizzata, sia a livello nazionale  che internazionale, attraverso leggi, ricorrenze e festività sicuramente lodevoli ma  che a volte hanno portato  alla creazione di nuovi conflitti e non hanno, inoltre,  risolto  il problema del razzismo e dell’intolleranza, fenomeni che sembrano, infatti,  riprodursi con  maggiore rilievo proprio nei paesi in cui le celebrazioni sono state implementate con più rilevanza. L’autore considera così  che in alcuni contesti, ad esempio nei paesi decolonizzati  che hanno subito  rapide e  forti trasformazioni, sarebbe più dignitoso e propedeutico alla pace  dimenticare o combinare la memoria con l’oblio mentre politiche d’identità basate su una costruzione calata dall’alto della memoria collettiva  possono  diventare causa di rivendicazioni di potere e persino di violenza. Su queste questioni  l’autore segnala  al lettore due importanti riferimenti bibliografici: il libro di David Rieff (2019) “Elogio dell’oblio”  e quello  di Valentina Pisanty “I Guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe” (2020).

L’autore analizza nella prospettiva  del confronto tra storia e memoria le più importanti vicende della storia contemporanea: la Shoah, la fine del comunismo, il fascismo, i problemi legati alla decolonizzazione e termina con l’analisi delle modalità con cui si è tentato di costruire la memoria comune in Italia e nell’Unione Europea.

La Shoah  

Negli anni ’90, circa cinquant’anni dopo gli avvenimenti che l’hanno provocato, lo sterminio della popolazione ebraica da parte della Germania nazista, la Shoah, ha assunto nella memoria collettiva il valore rappresentativo del genocidio per eccellenza.  Le Nazione Unite hanno dedicato la giornata del 27 gennaio, data della liberazione del campo di distruzione di Auschwitz, al suo ricordo e si è inoltre riscontrata una fioritura di libri di memorie, documentari, film  che hanno asserito l’impossibilità di trasmettere l’esperienza della Shoah attraverso la conoscenza storiografica senza avvalersi della  coinvolgente narrazione dei sopravvissuti. L’autore mette in guardia contro una semplicistica accettazione di questa tesi riportando la vicenda di Benjamin Wilkomirski che, nel 1995, scrive un libro di grande impatto  emotivo  e di grande successo sulla vita ad Auschwitz ma in seguito  deve confessare di  non essere ebreo e di non essere mai stato ad Auschwitz.  La sua forte empatia con la tragedia ebraica gli ha permesso   di inventare in modo verosimile una realtà che non ha mai vissuto.

Flores afferma però  che nel caso della Shoah la memoria  e la storia hanno collaborato all’accrescimento della conoscenza, infatti  l’espansione della memoria è stata accompagnata da una grande quantità  di  studi che hanno  fatto riflettere su possibili nuovi paradigmi interpretativi della storia del Novecento. Un altro merito di questa collaborazione è di avere dato visibilità ad  altri genocidi avvenuti prima o dopo la Shoah, a partire da quello degli Armeni durante la prima guerra mondiale, per passare alla ex Jugoslavia, il Ruanda, la Cambogia fino alle vicende degli yazidi massacrati dall’Isis  in Iraq.

Interessanti sono poi i cenni sul problema della memoria e della coscienza tedesca, la cui ricostruzione è stata resa più difficoltosa dalla partizione del paese in due settori. L’autore  mette in evidenza come sia stato il movimento giovanile del ’68 a costringere i tedeschi della Germania occidentale  che hanno vissuto la seconda guerra mondiale  ad affrontare il problema delle loro corresponsabilità nella storia del nazismo.

Il Comunismo

La conoscenza storica del comunismo nei paesi ex-comunisti, a partire dalla Russia sovietica, risulta ormai adeguatamente assodata. Anche nel nostro paese il  lavoro storiografico svolto dagli storici del PCI sul comunismo italiano ha dato risultati di notevole interesse ma  il contributo dell’indagine storica  non ha avuto molta influenza sulla diffusione di una memoria pubblica che ha fatto ricorso a procedimenti di rimozione e demonizzazione applicando acriticamente punti di vista  di segno opposto a seconda della parte politico-culturale di riferimento. A sinistra la relativizzazione della repressione  e del totalitarismo dei regimi comunisti nasce dal desiderio  di testimoniare la propria opposizione al mondo capitalista e alle sue ingiustizie e di ricordare la sincerità  e l’amore per la liberta di chi ha combattuto contro l’oppressione in nome del comunismo, anche se in questo modo l’attenzione è stata allontanata dalla conoscenza e spostata sul terreno della morale. La memoria collettiva in Russia, diffusa dalla dirigenza politica di Putin, ha teso alla rimozione dell’esperienza comunista e all’incentivazione dell’orgoglio nazionale basato sulla  vittoria nella seconda guerra mondiale con celebrazione di un passato glorioso che si estende da Pietro il Grande a Putin stesso. Più difficile indagare sulle memorie dei paesi dell’Europa dell’Est spesso in contrasto tra loro ed espressive di un forte vittimismo nazionale nei confronti della Russia, a volte con la complicità  degli storici stessi.

Il Fascismo

Riguardo al fascismo, Flores mette in evidenza che la sovrapposizione di storia e memoria insieme alla natura ideologica e conflittuale della questione hanno posto ostacoli alla ricerca.

Fino a metà degli anni ’60 il fascismo non  è stato indagato dal punto di vista storiografico e si è cominciato a discuterne apertamente solo con la pubblicazione negli anni ‘70 delle opere di De Felice che, viste come riabilitative del fascismo, hanno scatenato polemiche e allo stesso tempo partecipato alla legittimazione delle posizioni  neofasciste emerse negli anni seguenti. Flores vede nel cinema e, in parte, nella letteratura degli anni ’70  i mezzi di comunicazione  che hanno illustrato più adeguatamente i conflitti e le memorie contrapposte della coscienza collettiva italiana sul ventennio fascista.  

E’  stato negli anni ’80, soprattutto dopo il 1989,  che si è potuto cominciare a valutare l’esperienza del fascismo e  affrontare un dibattito sul totalitarismo inserito  in una dimensione europea e internazionale. Nel corso degli anni ’90, l’età d’oro della memoria, il dibattito sul fascismo ha però ripreso la sua dimensione di accesa polemica morale con il lungo governo di Berlusconi e la sua disinvolta trattazione di alcuni temi legati al fascismo tanto che  la considerazione, già precedentemente avanzata,  della modernizzazione economica e sociale che sarebbe stata operata dal fascismo entra nella memoria collettiva di  parecchi italiani.

Rinasce così il dibattito sul “fascismo eterno”,  come lo ha definito  Umberto Eco, con contributi interessanti  che hanno cercato  di delineare un ”fascismo generico”. Questo procedimento però ha messo di nuovo il fascismo al centro di uno scontro ideologico e ha fatto prevalere ancora una volta l’idea che lo si potesse giudicare  principalmente con una modalità etico-politica e non attraverso una razionale disamina storica. La questione si è ripetuta  con  l’apparizione di Salvini e del cosiddetto populismo  al governo del paese. Sia la posizione di coloro che vedono in Salvini un reale pericolo fascista e coloro che rifiutano di coglierne valenze antidemocratiche hanno indebolito, secondo Flores, la possibilità di una analisi seria del populismo contemporaneo nonostante il fatto che gli storici abbiano elaborato negli ultimi anni studi approfonditi che dimostrano l’impossibilità di comparare il fascismo storico con le spinte autoritarie di oggi.

La decolonizzazione

Innumerevoli sono stati i conflitti di memoria emersi nel secondo dopoguerra nel momento in cui tanti paesi del mondo si sono resi indipendenti  dalle potenze coloniali. Tali conflitti   non hanno riguardato soltanto la relazione tra paesi colonizzatori e paesi colonizzati ma anche vicende  interne ai paesi liberati. Flores evidenzia come molti eventi siano stati dimenticati, ad esempio la guerra tra gli Stati Uniti e le Filippine e la guerra di Corea, insieme a  massacri e violazioni dei diritti umani come l’internamento in campi di concentramento negli USA di cittadini di origine giapponese dopo Pearl Harbor, l’uccisione da parte della Gran Bretagna di molti cittadini malesi impegnati nella lotta di liberazione, il cosiddetto “Stupro di Nanchino” da parte dei giapponesi che hanno massacrato un gran numero di cinesi durante la guerra sino-giapponese del 1937, la riduzione al ruolo di prostitute delle donne coreane, “le donne di conforto”, al servizio dei soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale, il contrasto a base religiosa tra India e Pakistan che ha portato alla separazione dei due paesi nel 1947  dopo la liberazione dal dominio britannico, la persistente sottovalutazione da parte francese delle proprie  responsabilità coloniali. Tutti questi eventi, anche se spinti ai margini della coscienza collettiva, hanno dato origine a  contrapposizioni politico-ideologiche e insieme a un confronto di ipotesi storiografiche diverse.

Flores dà molto rilievo alla creazione  in Sud Africa, dopo la fine dell’apartheid, della TRC – “Truth and Reconciliation Commission”, iniziativa sancita dal nuovo parlamento democratico sudafricano del 1995 e sostenuta da Mandela e Tutu al fine di  sviluppare nel paese una memoria collettiva unitaria  che tendesse a  superare i passati conflitti tra i diversi gruppi etnici presenti nel paese   e   incentivare la cooperazione e la solidarietà.  La commissione  ha costituito delle corti di giustizia nelle varie parti del paese  per dare voce  a tutte  le vittime dell’apartheid e concedere il perdono ai perpetratori  di soprusi e violenze qualora  riconoscessero pubblicamente i loro crimini.  Con le migliaia di audizioni e relazioni finali raccolte in numerosi volumi, la TRC costituisce, secondo Flores, un esempio di valida collaborazione tra storia e memoria e di una implementazione della giustizia più proficua rispetto ai processi celebrati alla fine della seconda guerra mondiale e, più tardi,  nei  tribunali internazionali per giudicare i carnefici dei massacri nella ex-Jugoslavia e in Ruanda.

Negli ultimo due capitoli il libro di Flores  indaga sulla costruzione  della memoria collettiva dei paesi, che viene  realizzata dalle istituzioni pubbliche, dai gruppi sociali, dai partiti e diffusa dai media.

La memoria comune in Italia

Nel considerare la complessa memoria italiana lo storico ne evidenzia alcuni aspetti critici che risultano del tutto incongrui con la ricostruzione storica.  Ci sono cittadini italiani, ad esempio, che credono che lo sbarco degli alleati in Sicilia sia stato portato avanti con l’aiuto della mafia, che i tedeschi prima di effettuare la strage delle Fosse Ardeatine abbiano chiesto agli attentatori di Via Rasella di costituirsi, che gli italiani non abbiano mai usato  gas tossici nella colonizzazione dell’Eritrea e non abbiano compiuto crimini nelle precedenti guerre coloniali africane e durante la seconda guerra mondiale, che non abbiano mai manifestato atteggiamenti razzisti,  nonostante il fatto  che la falsità di queste informazioni siano state provate storiograficamente con approfondita documentazione. Un ulteriore esempio di ignoranza storica messa in evidenza  riguarda la poca chiarezza sugli avvenimenti legati al terrorismo italiano degli anni ’70.

Sono  considerate date fondamentali  per la  nostra memoria collettiva sia la Giornata della Memoria della Shoah istituita in tutta Europa nel 2000 sia  la Giornata del Ricordo delle Foibe istriane e giuliane  la cui istituzione, motivata da scelte politico-ideologiche, ha causato numerose polemiche ed è stata  accompagnata  da narrazioni incapaci di spiegare gli avvenimenti storici a cui la giornata è dedicata.

Risulta evidente che i punti nevralgici della memoria collettiva italiana  che hanno creato maggiori conflitti e  divisioni siano da rintracciare nel periodo della seconda guerra mondiale, negli anni della Repubblica Sociale, della Resistenza e nel periodo successivo alla   Liberazione.

Non è facile stabilire l’influenza della scuola nella costruzione della memoria collettiva ed è necessario considerare anche l’impatto  della cosiddetta “public history”, cioè la narrazione di momenti storici tramite musei, mostre, memoriali e varie tipologie di eventi. Di grande influenza è anche il  calendario delle festività civili, che subisce cambiamenti nel corso del tempo. Un esempio tra tutti è il 2 giugno, giorno della vittoria della repubblica sulla monarchia ma anche dell’elezione dell’Assemblea Costituente, data che per un certo periodo è stata  privata della sua importanza con lo spostamento alla prima domenica di giugno e poi reintegrata come festività civile nel 2001.

La memoria comune in Europa

L’Unione Europea ha proclamato giornate simboliche, finanziato ricerche, organizzato iniziative culturali e nel 2017 ha persino fondato a Bruxelles la Casa della Storia Europea  con la finalità di dare forma a una identità comune tra i paesi membri. L’evento principale attorno al quale costruirla è risultato essere senza dubbio il ricordo delle vittime della Shoah, oltre che di tutte le altre vittime della storia recente. Con l’allargamento dell’Unione ai paesi dell’area ex-sovietica si è rintracciato un secondo elemento simbolico nell’esperienza del comunismo che però, secondo Flores, non  ha ancora assunto la forza  di una vera esperienza collettiva soprattutto perché i paesi coinvolti hanno adottato un atteggiamento vittimistico  e patriottico sul loro passato comunista  senza indagare sulla loro partecipazione e responsabilità. La costruzione di uno sguardo  comune europeo richiede perciò  l’apporto della storia per riconciliare le memorie divise e ricercare un’identità positiva.

Un ulteriore elemento di difficoltà e complessità è dato dalla presenza sempre più numerosa di cittadini provenienti dalle aree del mondo colonizzate dalle potenze europee che hanno bisogno di riferimenti diversi da quelli rintracciati nel genocidio ebraico e nell’esperienza del comunismo.

La storia e lo studio della storia

Marcello Flores riflette anche sulla natura della storia che tende alla scientificità  ma non può mai  raggiungerla in quanto narrazione di eventi che seleziona e interpreta, una disciplina che si rinnova di continuo e che poggia su due principi tra loro diversi: la ricostruzione dei fatti e la loro interpretazione  con la finalità di proporre un’indagine critica che contrasti l’uso strumentale del passato a fini politici o ideologici. Lo studioso riconosce che conciliare soggettività e ruolo professionale è spesso problematico e che ci sono anche “cattivi” storici, come sostiene Luzzatto in “Prima lezione di metodo storico” (2010)

L’autore mette inoltre in rilievo  la necessità di dare allo studio delle discipline storiche strumenti e spazi adeguati nelle scuole e nelle università utilizzando modalità nuove e originali che includano anche gli sguardi  sul passato consegnati dalle memorie collettive.  A questo proposito viene segnalato il tentativo di produrre un manuale scolastico di storia  comune per tutta l’Unione Europea, progetto mai realizzato per le troppe difficoltà incontrate. Nel  2006 è stato prodotto però un testo scolastico frutto della collaborazione di    Francia e Germania ed è  interessante osservare che il punto di divergenza principale tra i due paesi ha riguardato proprio la presentazione dell’esperienza socialista, vista dalla Germania come tirannica e repressiva e interpretata invece dalla  Francia come utopia comprensibile nel contesto in cui è nata.

Si segnalano  infine gli interessanti riferimenti bibliografici  forniti dal libro, materiale prezioso per i lettori che, motivati dalla rilevanza degli argomenti sottoposti alla loro attenzione e  resi consapevoli dell’importanza della ricerca storica, desiderino  approfondire le informazioni, osservazioni,  suggestioni che hanno ricevuto dalla lettura.

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